Ci sono giorni, come questo, in cui il vento dei ricordi bussa più forte al mio cuore, per portarmi più lontano… riavvolgo all’inverso la bobina del tempo, ritorno alle prime scene del film della mia vita. Mi rivedo bambina di otto anni, nel chiarore di un pomeriggio di prima estate, era giugno mi pare, sdraiata a riposare sul letto della mia cameretta, nel paesino di montagna di origine dei miei, dove teniamo ancora la casa e dove, finita la scuola, passavamo parte delle vacanze, con mio grande disappunto, perché in quel paese troppo tranquillo e monotono per una bimba della mia età abituata a vivere in città, mi annoiavo terribilmente.
Ero sdraiata, dicevo, sul letto, ma perfettamente sveglia, stavo pensando alle mie compagnette lasciate in città, quando all’improvviso mi apparve mia nonna. Certo, era lei, la nonna Angela, era solo un pò più giovane e indossava un bel vestito verde scuro. Era accompagnata da zia Concettina, sua cognata, cioè la sorella di mio nonno. Zia Concettina però mi appariva più anziana, cioè della stessa età che aveva quando se ne era andata qualche anno prima, e inoltre, era vestita di scuro. Anche la nonna, che era un angelo di bontà e che se ne era andata pochi mesi prima, a Febbraio, in una età media, circa 65 anni, come tutte le donne di una volta, a quell’età, in vita, vestiva sempre di scuro, ma, non so perché, mi apparve invece con quello splendido vestito verde bosco e con un aspetto da quarantenne. Volavano entrambe dentro la stanza, volteggiando alte, sopra il soffitto. Ero, ripeto, assolutamente sveglia, come lo sono adesso, che sto scrivendo.
Per nulla spaventata, (queste cose non mi hanno mai spaventata, nemmeno da bambina), anzi molto felice per avere di nuovo lì la mia nonna, alla quale ero legatissima, mi alzai dal letto e cominciai a fare, con le mie piccole gambe da bambina, dei saltelli verso il soffitto della stanza, protendendo la mia manina perché volevo toccarla, raggiugerla. Ma lei, stranamente, vedevo, non allungava la sua mano verso la mia per tirarmi su con lei, semplicemente volava insieme alla zia sopra di me, ed entrambe mi guardavano e sorridevano, gioiose. “Nonna, voglio venire con te, le dissi”, e continuavo a fare balzi sovraumani per cercare di raggiungerla, salii anche sul letto, ma niente, non ci arrivavo. Ad un certo punto lei mi disse: “non puoi venire adesso con me, la tua manina è ancora troppo piccola, vedi, anche se hai cercato di farlo, non riesci a raggiungermi, verrò poi io a prenderti appena la tua mano crescerà e sarà quella di una persona adulta. Però mi sentirai prima… prima di venire con me tante volte sentirai la mia voce, non mi vedrai ma mi sentirai…” e scomparve dalla stanza, insieme alla zia. Non capivo, cosa voleva dirmi la nonna… ? non mi vedrai ma mi sentirai… ?.
Dovettero passare 40 anni perché capissi… perché la sentissi chiara e forte, con la radio e il registratore la sua voce, e l’ho sentita tante volte, la nonna Angela, anche l’altro giorno…
Lei, che non ebbe una vita facile, un marito dieci anni fuori, al fronte, 4 figli ancora piccoli da tirare sù, di cui uno disabile, una forzata convivenza, come si usava allora, con suocera e cognate rimaste nubili a casa, e con la quali a volte si creavano inevitabili momenti di attrìto, lei che ricordavo sempre molto bella ma precocemente invecchiata, sempre vestita di scuro, buona ma sempre triste, piangente e lamentosa, e che ora, per la sua non comune bontà e generosità occupa i piani più alti della Casa del Padre, mi parla sempre con tono gioioso e tranquillo di musica e di Luce, di colori e di fiori, di giochi e di vivai, di spettacoli e concerti, di splendore e di Azzurro, di feste e di danze, di palazzi, di colonne e di marmi immacolati, e soprattutto, sempre del Sole, del Re Sole, del “Nostro Grande Sole”, dell’Immenso Sole. Ho capito che il Sole è Dio, per lo meno, così loro lo chiamano. Ho capito che, come sempre attaccata alla sua gonna è con lei mia madre, il primo Angelo che Dio mi ha posto accanto, e che i miei genitori non vivono insieme, perché papà è invece un po’ più in basso, anche se la mamma va spesso a trovarlo e spesso al registratore arrivano insieme. Inoltre, ho capito che loro sono perfettamente al corrente di tutto quello che riguarda la mia vita, dei miei successi, delle mie cadute, delle mie gioie, dei miei sbagli, delle mie preoccupazioni, dei miei errori. Non c’è alcuna ombra di severo rimprovero o di ostile giudizio verso i miei sbagli, semplicemente mia madre, quando non approva tanto il mio comportamento, mi dice dolcemente “hai fatto la monella”.
Ho capito quindi che l’altra Dimensione non è un lontano posto misterioso al di là delle nuvole ed oltre ogni orizzonte, inimmaginabile e irraggiungibile, inghiottito da Cieli distanti e infiniti da cui nessuno è mai tornato. Tutt’altro. “Il mondo degli Spiriti è intorno e sopra di noi. Non si trova in qualche continente lontano, ma è una parte dell’Universo, mescolato e intrecciato con il mondo fisico” (insegnamenti di Silver Birch).
La metafonia, più di ogni altro mezzo, forse perché fatta con strumenti tecnici e quindi più obiettivi (la radio ed il registratore non mentono) e sono anche suscettibili di verifica scientifica, perché ripetibile e dimostrabile in laboratorio (ogni volta che mi sono collegata loro sono sempre arrivati), ci apre nuove porte, nuovi orizzonti, nuove finestre per guardare, ascoltare e capire. E ci fa capire tante cose. Perché a parlare sono proprio loro, proprio i nostri cari che pensavamo lontani, perduti per sempre, irraggiungibili, saliti su un treno che li aveva portati via, chissà dove, o che erano volati oltre il Cielo e il conoscibile, per lasciarci qui, tristi e soli, desolati e piangenti, fra gli affanni e il dolore.
E ci dicono tante cose. Prima di tutto che sono vivi, vivissimi, più vivi di noi. “Io non sono morto, non sono morto”, sento spesso quasi urlare dal registratore. Oppure: c’è vita, c’è tanta vita qui. Oppure: io qui rinato, qui risorto, si risorge qui.
Mi dicono che Dio, Amore Puro, non può mai permettere che i vincoli d’amore siano sciolti per sempre, che cadano nel nulla, che cessino di esistere, perché questo sarebbe illogico e andrebbe contro la sua legge, che è la legge dell’Amore per eccellenza. Per questo noi, passati di là, rincontreremo i nostri cari e tutti coloro che abbiamo amato, animali compresi, e che dal canto loro, sono ancora con lo sguardo e le attenzioni rivolte verso di noi, e che hanno il potere, se lo vogliono di stare ancora con noi, di arrivare da noi, di entrare nelle nostre case, di stare seduti sulle sedie, sui divani e anche sui letti di quella che fu un tempo la loro casa e che a noi sembra vuota e silenziosa senza di loro, non capendo e non immaginando, non vedendoli, che loro sono invece spesso proprio qui, in mezzo a noi.
Il dolore intenso, cupo, disperato di chi resta, il dolore senza speranza e senza fede, muto e sordo ad ogni spiraglio di Luce, ad ogni stimolo di ricerca spirituale, il dolore fine a sè stesso, che sbarra tutte le porte, che a nulla crede e nulla vuole ascoltare, che identifica il caro che è venuto a mancare solo nel suo corpo di carne e che lo considera pertanto estinto nel vero senso del termine, poiché destinato alla tomba, all’annientamento e alla decomposizione, questo tipo di dolore è quello che più turba colui che si è disincarnato, che vorrebbe invece fare di tutto per farsi sentire, per dimostrare che è proprio lì, accanto a noi che piangiamo e che urliamo inconsapevoli della sua presenza.
Due anni fà in un caldo mattino di agosto, da una sala di terapia intensiva, la mia adorata zia, la sorella di papa, volava nella Casa del Padre. Era stata praticamente la mia seconda mamma, essendo mia madre andata nell’Azzurro che io ero molto giovane. Dal canto suo, io ero per lei quella figlia femmina che lei aveva tanto desiderato e che non le arrivò mai, portandole “la cicogna” solo due figli maschi. Dall’ospedale io e i miei due cugini portammo la sua salma a casa, per prepararla ai funerali dell’indomani. Durante la giornata, appresa la triste notizia, parecchi vicini di casa e amici di famiglia vennero a trovarci, dicendo delle preghiere davanti al feretro ed omaggiandola con dei fiori, mia zia era una donna affabile e simpatica, rispettata e benvoluta da tutti. Un’amica della zia, vedendomi abbastanza provata, per farmi un pò distrarre, si mise a conversare con me. Eravamo sedute nella stanza dove era composto il feretro, e lei si mise a parlare a lungo, raccontandomi un po’ di tutto, mi disse fra l’altro, che proprio in quei giorni le era nata una nipotina, la figlia di suo figlio, e mi mostrò la foto della piccola sul telefonino. “che bella bimba” esclamai, come si chiama ? vedendo un visino paffutello color porcellana con due bellissimi occhietti neri, avvolto in una sciarpa rosa. Arianna, si chiama Arianna mi disse la signora. Peccato tua zia se n’è andata proprio adesso… non ho fatto in tempo a farle conoscere la mia nipotina… mi disse con lo sguardo pieno di tristezza, chissà se questo nome, Arianna a tua zia sarebbe piaciuto…
Si era fatto tardi. Erano circa le 23,00 di sera. Ero stanca, triste, distrutta. Avevo l’esigenza di rientrare a casa mia, riposare un po’, rinfrescarmi: la terapia intensiva, l’obitorio, i lunghi giorni passati in ospedale, con mia zia… Adesso era tutto finito, tutta quella sofferenza, tutto il mio strazio nel vedermi così impotente davanti a quella crudele malattia che se l’era portata via… avevo perso anche la mia seconda mamma, ero davvero sola adesso…
Sarei tornata a casa sua l’indomani all’alba, per stare ancora un po’ con lei per l’ultima volta prima del funerale. Le lacrime mi cadevano copiose lungo il viso, impedendomi quasi di guidare nel tragitto verso casa mia, e me le toglievo a manate, ma subito si formavano le altre, più volte dovetti fermarmi.
Giunta a casa mi lavai il viso, e mi gettai sul letto, esausta. Dormii male e solo per qualche ora.
Erano le cinque del mattino quando mi svegliai. Avevo una gran voglia di rimettermi a piangere, pensavo incessantemente a lei, tutti i ricordi a partire dall’infanzia, invadevano, a flotte la mia mente… Poi un unico, assoluto determinato pensiero scacciò via tutti gli altri. Mi alzai, presi il registratore accesi la radio. Riuscii a trovare una stazione inglese, sulle onde corte, che si sentiva bene. Dovevo sentirla, dovevo sentire mia zia, sapere dov’era, cosa stava facendo. Misi a tacere la mia mente, che da un angolo della mia testa diceva: “ma se ancora deve essere sepolta !”
Mia zia era stata la mia prima fan, sapeva tutto dei miei esperimenti metafonici, mi aveva sempre incoraggiato ad andare avanti, negli ultimi anni avevamo passato pomeriggi interi a collegarci con suo marito e col mio, entrambi in Cielo…
Ero sicura che sarebbe arrivata, anche se se n’era andata poche ore prima, anche se il suo corpo non era ancora stato sepolto… il cuore mi batteva forte quando pigiai il tasto On di accensione del mio piccolo registratore digitale. “zia ci sei ? fatti sentire…” ma il mio cuore ebbe un fremito ed ebbi quasi un mancamento, al riascolto. La voce dello speaker inglese della radio si era trasformata in una chiara, forte voce italiana: “si tesoro, ci sono. Ero nella stanza, seduta accanto te. Ho visto la foto di Arianna sul telefonino.”
Dalla finestra osservai l’alba di agosto che colorava il cielo di mille splendide luci pastello. Parvero a me le luci del Paradiso. Come tutti quelli che se n’erano andati ,mia zia esisteva ancora e adesso, di nuovo sana e forte, libera e felice stava arrivando a Casa, dal Padre, dal Sole.
Mi alzai e asciugai dai miei occhi quella nuova lacrima. Ma era una lacrima diversa. Questa era una lacrima di gioia.
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